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16/09/11

Sessantatré anni di un regime “familiare” alle prese con il prossimo passaggio alla sua terza generazione


 Venerdì scorso, 9 Settembre 2011, a Pyongyang si è celebrato il 63° anniversario della Repubblica Popolare Democratica di Corea (DPRK). Nell'ultima settimana lo spartano sito che fornisce le agenzie ufficiali del governo nordcoreano, il Korean Central News Agency (KCNA), si è arricchito ogni giorno di annunci di auguri e di regali di questo o quel governo o ambasciata a celebrare la ricorrenza, e ad una settimana di distanza ha potuto ben selezionare i rapporti commemorativi più convenienti diffusi dai media stranieri. Tra tra un augurio e l'altro anche la notizia di un liceo cubano intitolato allo storico leader Kim Il Sung, con l'intervallo di alcune notizie di cronaca estera, come la visita del Presidente cinese Hu Jintao agli insegnanti delle scuole medie di Pechino e lo spropositato investimento del governo della Repubblica di Corea (ROK) di Seoul per l'acquisto di vari tipi di armi dagli Stati Uniti.
Anche tra le laconiche agenzie della KCNA possiamo tuttavia trovare uno spiraglio che faccia luce aiutandoci a comprendere uno degli scenari più complessi dello scacchiere globale, specie al termine di un anno tanto complesso. Si, perché questo sessantatreesimo anno è stato probabilmente uno dei più aspri per i rapporti ufficiali intercoreani dalla caduta del blocco sovietico, se non addirittura dall'armistizio del '53 che pose fine alla Guerra di Corea, e vale la pena ricordare che nessun trattato di pace ha mai seguito quell'armistizio.
Questi gli avvenimenti. Il 26 marzo 2010 la corvetta sudcoreana Cheonan che transitava nel Mar Giallo colava a picco dopo un esplosione a poppa portando con sé 46 marinai. L'affondamento veniva attribuito all'attacco di un'unita sottomarina di Pyongyang. Il 23 novembre seguente le batterie costiere nordcoreane aprivano il fuoco contro Yeonpyeong, un'isola a 13 Km dalle coste del Nord la cui attribuzione alla Corea del Sud e sempre stata contestata, e i sudcoreani risposero prontamente al fuoco, con un bilancio finale di 4 sudcoreani morti (tra cui 2 civili) e 15 feriti. Il 17 giugno scorso, infine, l'attenzione e la tensione internazionale sulla penisola estremorientale sono state tenute alte dalla notizia di un fuoco aperto per errore dall'artiglieria sudcoreana contro un aereo commerciale dell'Asiana, importante compagnia battente bandiera ROK, scambiato per un velivolo nordcoreano. Altri scambi di colpi di artiglieria, seppur trascurabili dal punto di vista militare e pressoché inscrivibili nella prassi dei rapporti di frontiera tra Nord e Sud, si sono avuti agli inizi di Agosto impedendo l'instaurarsi di un regime di calma, seppur apparente.
La svolta dei primi anni '90, con la caduta del blocco socialista da una parte e la fine delle dittature militari dall'altra, si era tradotta in una reciproca apertura al dialogo delle due parti. Nel 1991 le due Coree furono congiuntamente ammesse alle Nazioni Unite e nel Giugno 1994, con la mediazione americana, venne deciso un incontro ai massimi livelli tra Kim Il-sung e Kim Young Sam, programmato per il successivo 25 Luglio; purtroppo la morte del Grande Leader impedì che lo storico incontro potesse aver luogo. Tuttavia la disponibilità al dialogo dei Presidenti sudcoreani Kim Dae-Jung e Roh Moo Hyun fece ugualmente segnare una serie di piccoli passi avanti nel delicato processo di riappacificazione. Nel Giugno 2000 si è tenuto lo storico incontro con il viaggio di Kim Dae-Jung a Pyongyang, improntato su una politica di trasparenza tra le due parti. Risultati concreti se ne sono avuti: il più simbolico e significativo è stato, probabilmente, la decisione di riaprire la linea ferroviaria Pyongyang-Seoul interrotta nel '45 dalla linea di demarcazione. Più concretamente va registrato che ad alcune imprese sudcoreane venne concesso di approdare al Nord, al quale fu concesso di importare tecnologia informatica. La città di Kaesong, antico snodo commerciale in territorio settentrionale, venne demilitarizzata e al suo interno si stabilirono 250 società sudcoreane che, al 2007, contavano circa 100.000 operai nordcoreani. Nel Gennaio 2001 Kim Jong-Il cercò di rilanciare l'apertura al mondo occidentale dichiarando di voler assumere una “nuova mentalità” rispetto alle sfide dell'economia. Ma solo un anno dopo, il 30 Gennaio 2002, l'ottusa amministrazione Bush Jr. inscriveva ufficialmente la Corea del Nord tra gli “Stati Canaglia” e componente autorevolissima del cosiddetto “Asse del Male”. Il 2 Ottobre 2007 il Presidente Roh Moo-Hyun comunque incontrò Kim Jong-Il per riaffermare lo spirito dell'incontro ai vertici del 2000. Il 4 Ottobre 2007 i due leader hanno firmato una dichiarazione di pace, un documento che invoca un consiglio internazionale per sostituire, a distanza di oltre mezzo secolo, l'armistizio del '53 con un trattato di pace permanente.
Le provocazioni della Corea del Nord si inscrivono nel paradigma della minaccia: il Nord è un Paese che si sente sotto assedio e che deve continuare a tenere alto il suo livello di militarizzazione per sentirsi al sicuro (specie in virtù della continua presenza e delle sessioni di esercitazione delle truppe statunitensi con quelle sudcoreane), ma non è autosufficiente (specie quanto a generi alimentari) e alzare periodicamente la tensione fa parte della sua strategia di brinkmanship per tenere alti i suoi margini di negoziazione. Poi ci sono Washington e Pechino. Se da una parte agli USA interessa molto che all'altezza del 38° parallelo si tenga alta la tensione cosi da non dover smobilitare le sue truppe da un territorio cosi strategico, dall'altra la Corea del Nord sente la propria indipendenza minacciata più dalla Cina che dagli stessi Stati Uniti, e per questo Pyongyang ha più volte manifestato la sua volontà di avvicinamento e di normalizzazione delle relazioni chiedendo colloqui bilaterali. Colloqui peraltro mai concessi dagli USA proprio per non compromettere i rapporti con Pechino. E tutto questo la dice lunga, a sua volta, sui rapporti tra Corea del Nord e Cina. Nonostante l'atteggiamento di facciata che traspare dalle agenzie (anche di dubbio interesse) della KCNA sul vicino cinese, di fatto i nordcoreani sono spinti tra le braccia della Repubblica Popolare per disperazione, poiché messi all'angolo dalla quasi totalità della comunità internazionale che ad essa si rivolge costantemente per fare da intermediario con Pyongyang. I coreani non sono affatto contenti di questa forma di provincializzazione, mentre i cinesi sono evidentemente anche loro propensi a preservare uno status quo che non ne destabilizzi la supremazia sullo scacchiere estremorientale.
Cosa è cambiato rispetto alla lenta distensione dei quasi vent'anni precedenti? A questa domanda può probabilmente rispondere soltanto uno sguardo interno al regime. Kim Jong-Il ha indicato nel suo terzogenito Kim Jong-Un la prossima guida del Paese, ma è possibile che il giovane erede designato sia già virtualmente in carica, date le condizioni di salute del Caro Leader, e che in un regime militare come la DPRK la linea dura, dopo un lungo periodo di distensione e storici incontri al vertice, sia stata una prova di forza e legittimazione della sua investitura.
Le ultime uscite pubbliche sembrano avvalorare la tesi che riconduce al “fattore successione”. Fino ad un anno fa le apparizioni di Kim Jong-Un erano sempre state alquanto defilate, tanto che, di fatto, poco si sa di questo ragazzo, a partire dalla sua età: compresa tra i 28 e i 30 anni. All'improvviso, poi, il suo cursus honorum militare è stato accelerato, con la promozione ad uno dei più alti ranghi militari dell'esercito norcoreano e con la moltiplicazione delle sue apparizioni ufficiali accanto al Caro Leader suo padre.
Le celebrazioni del sessantatreesimo anniversario hanno confermato questa tendenza. Nelle sue agenzie la KCNA ha citato il giovane nelle primissime posizioni dei dirigenti che hanno partecipato agli eventi di celebrazione. Unitamente al recente, inedito attivismo diplomatico di Kim Jong-Il con Pechino e Mosca, sembra di poter leggere l'azione di governo in chiave di consolidamento della storica immagine di solidità tanto in patria quanto all'estero. La guida del Caro Leader non deve apparire in discussione neppure di fronte ai dubbi sul suo stato di salute, mentre la successione di Kim Jong-Un non può non passare tramite una legittimazione all'interno delle gerarchie militari.

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