Le camere hanno varato la scorsa
settimana una manovra finanziaria di emergenza che segue un massiccio
provvedimento già deliberato prima dell’estate e a cui faranno
seguito a breve altre manovre di entità altrettanto notevole. Entro
il 2013 tali manovre dovrebbero arrivare a rimpinguare le casse dello
Stato per una somma che si aggira attorno ai 400 miliardi di euro.
Una colossale serie di riforme per salvarci dal fallimento e risalire
la china in Europa, per riavvicinarci un po’ alla Germania e
cercando di tenere lontano lo spettro della Grecia.
Tralasciando il dibattito
etico-politico che tanta polvere ha alzato tra le fila dell’opinione
pubblica, in particolare in riferimento ai privilegi della casta di
Montecitorio come a quelli di cui beneficia il Vaticano, il dato che
più di tutti sottolinea il nostro ritardo rispetto all’élite
dell’UE è quello della lotta all’evasione.
Lo scorso 24 agosto Dario Pagnoni ha
elaborato un’eloquente grafica su “Il Sole 24Ore”, mostrando il
tasso percentuale di evasione fiscale sul gettito teorico di tutta
l’Europa a 27. L’Italia occupa il 4° posto con un’evasione al
22%, dietro Ungheria (23%) e Slovacchia (28%), con il primo posto
“saldamente” in mano alla Grecia (30%).
I paesi chiave
dell’Unione, Germania e Francia, hanno tassi notevolmente più
bassi (rispettivamente 10% e 7%). E se è vero com’è vero (e come
anche il nostro Ministero del Tesoro non manca di ricordarci in un
suo recente spot contro l’evasione) che le nostre tasse ci vengono
restituite in beni e servizi, chiunque sia stato nella metropolitana
di Berlino o Parigi avrà ben chiaro come questi numeri si traducano
in fatti constatando la differenza (e i trasporti pubblici sono solo
uno dei possibili esempi) con i servizi di Roma, Milano o Napoli.
Come si distribuisce nel Paese questo
dato? La risposta a questo quesito non è esente da valutazioni
politiche, considerato che il governo in carica si è
sistematicamente dilettato in condoni di vario tipo, a partire dai
grossi conti all’estero fatti rientrare con lo “Scudo Fiscale”
al 5%, senza dimenticare i meno recenti condoni sull’abuso edilizio
e la depenalizzazione del falso in bilancio. La sistematicità di
questo genere di misure non ha evidentemente incoraggiato queste
classi di contribuenti a regolarizzarsi, specie stando alla
fotografia del Paese che l’IRPEF ha fatto a inizio giugno. I dati
parziali, riferiti al 2010, mostrano che l’evasione (dato medio:
13,5%), contrariamente alla propaganda di certe fazioni politiche, al
Sud (7,9%) è sensibilmente inferiore al Centro (17,4%) e al Nord
(14,5%). Non a caso dal lavoro autonomo (libera impresa) si registra
un -56,3% di gettito, e dai proprietari immobiliari un -83,7%. Unico
dato positivo il +7,7% versato dai pensionati.
Questi dati in buona parte sono
inficiati dalle stime sull’economia sommersa: un buco stimato tra i
255 ed i 275 miliardi. I dati IRPEF, stavolta riferiti al 2008,
tuttavia corrispondono per il 55% alle “correzioni del fatturato”,
e per il 37% al lavoro “nero”. Quest’ultimo dato si è ridotto
del 2,3% rispetto all’anno precedente, ma non c’è molto da
esultare, poiché c’è stata una corrispondenza immediata nei dati
sul lavoro precario.
L’Italia, dunque, è senz’altro un
Paese Europeo con un tasso di evasione troppo alto perché l’unica
misura presa sia uno spot televisivo in un momento di instabilità
che mette a rischio la coesione dell’intera eurozona. Ed è senza
dubbio impossibile “bacchettare” gli italiani, che non sono
antropologicamente più inclini all’evasione dei vicini francesi,
tedeschi o spagnoli, ma la cui condotta, se mai, rispecchia le scelte
quantomeno discutibili della sua classe dirigente.
Nessun commento:
Posta un commento