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20/09/11

Tremonti e il libretto rosso (degli assegni)


Nel giorno in cui Standard&Poor’s declassa il rating dell’Italia (da A+ ad A), l’entità dello spread dei titoli di stato tricolore con i Bund tedeschi sale a circa 390 punti. Una forbice che ha toccato anche picchi peggiori in questo finale di estate quanto mai torrido per la nostra economia. La scarsa fiducia dei mercati aveva reso i nostri Btp e Cct perfino meno appetibili di quelli spagnoli: evidentemente le nostre prospettive di crescita ed il nostro governo appaiono anche meno affidabili di quelle della Spagna di Zapatero in balìa degli indignados.
Dopo aver incassato l’approvazione dell’Europa sulla super-manovra di emergenza approvata dal Parlamento, la Bce ha acquistato un quantitativo di titoli di stato sufficiente a darci una boccata di ossigeno. Ma non basta. Lo stesso Mario Draghi, designato a presiedere l’istituto bancario centrale dell’Unione a partire da novembre, non ha preannunciato favoritismi per il nostro Paese, sottolineando, anzi, il carattere di emergenza, e quindi temporaneo, delle misure concesse al nostro Tesoro.
In tempi di crisi globale il mercato, le cui fluttuazioni molto devono al fattore psicologico, ha un vitale bisogno di segnali di fiducia. L’Italia le ritrova inaspettatamente in Cina. La missione italiana è iniziata ad agosto, quando il direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli, viaggiò in Oriente per proporre ai fondi sovrani cinesi e ad investitori di Hong Kong e Singapore di investire nei nostri titoli di Stato. L’interesse si accese, ma, di fronte alla situazione economica europea in generale ed italiana in particolare, i cinesi chiedevano garanzie. Il 6 Settembre si è mosso il ministro Tremonti in persona, incontrando a Roma una delegazione della China Investment Corporation (Cic), uno dei maggiori fondi sovrani d’investimento mondiali, guidata dal loro presidente Lou Jiwei.
Proprio oggi AGICHINA 24 riporta una dichiarazione del portavoce del ministro degli Esteri cinese Hong Lei: “Riteniamo che l'Europa abbia la capacità e l'intenzione di superare le attuali difficoltà e di lasciarsi alle spalle la crisi e ci auguriamo che sappia difendere gli investimenti cinesi”. Un’iniezione di fiducia per le trattative avviate dal nostro ministro perché Pechino non regredisca dall’acquisire una quota significativa di buoni del tesoro italiani.
Non c’è assolutamente nulla di male in tutto questo, anche perché i cinesi detengono già titoli italiani per 90 miliardi e, più in generale, un quarto del debito estero detenuto da Pechino è in euro: nulla di strano che i cinesi, che dalla crisi del 2008 sono tra i pochi a potersi permettere investimenti importanti, cerchino di evitare che l’euro collassi.
Più grave, forse, che il regime psicologico protezionista e da caccia alle streghe abbia spinto i vertici della nostra economia verso Levante solo in un contesto di crisi così acuta. Non a caso, quando si è diffusa la notizia sulle mosse di Tremonti, l’ex-Premier Romano Prodi, che si trovava proprio in Cina per tenere una serie di conferenze presso l’Università di Pechino in qualità di esperto di economia, ha commentato con un laconico “meglio tardi che mai”. "Non ci voleva un genio per capire cosa era la Cina - continua Prodi a Radio 24 - Se non si è in Cina è come non avere i piedi nel mondo". Un ritardo, quello italiano, che era stato precedentemente rimarcato pure da Luca di Montezemolo, che nell’occasione accusava Silvio Berlusconi di non essere mai andato né in Cina né in India.
Del resto in Italia siamo in un regime di “emergenza costante”, sempre lungi dalle soluzioni programmatiche. Ma questa volta potremmo pagarla cara. Sì, perché una mossa tanto fuori tempo (non avendo margine di trattativa) ci ha costretti ad aprire senza fare troppe storie agli investimenti cinesi non solo i nostri titoli, ma anche l’economia reale. Il mercato cinese non sarà più per molto tempo il mercato delle brutte copie: il costante arricchimento sta creando una superclass dal palato fino. E il made in Italy potrebbe diventare un boccone prelibato a buon mercato.

1 commento:

  1. Vorrei far notare la finezza grammaticale dell'accento su balìa, che lo differisce da balia.

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